venerdì 8 marzo 2019

L'ITALIA DEL 90 aC



Quando nasce il concetto di Italia come territorio comune appartenente a determinati popoli ? Più o meno, verso il 100 a.C. quando i soci, o alleati, della Repubblica Romana iniziarono a pretendere la cittadinanza, cioè gli stessi diritti civili e politici di cui godevano i 'cives' romani. Quali erano questi popoli ? Quelli illustrati nella cartina e cioè i Piceni, i Pretuzi, i Vestini, i Peligni, i Marsi, i Marrucini, i Frentani, i Sanniti e, più a sud, i Lucani e gli Apuli. I diritti politici consentivano di partecipare alla vita pubblica di Roma, di eleggere i funzionari e di essere eletti e, soprattutto, di non pagare i tributi che erano a carico degli alleati. Avendo la cittadinanza per diritto di nascita, anche la plebe romana poteva ricevere, a seguito di conquiste vittoriose, donazioni in frumento e l'assegnazione di piccoli lotti di terreno. Invece, ai 'socii' e ai 'municipia', i Romani concedevano soltanto i diritti civili impedendo, di fatto, l'ascesa alle più alte cariche della Repubblica.





Nel 91 a.C. a Roma venne nominato tribuno della plebe Marco Livio Druso. Era il figlio omonimo di quello stesso Marco Livio Druso (il censore) che, anch'egli eletto nel tribunato, si era fortemente opposto alle riforme ideate da Caio Sempronio Gracco a favore del proletariato. Gracco nel 122 a.C. aveva chiesto l'estensione della piena cittadinanza romana ai Latini  e, in forma ridotta, anche agli alleati italici. La riforma agraria, che prevedeva la lottizzazione dei latifondi e la proposta di estendere la cittadinanza, suscitò lo sdegno del Senato e degli aristocratici, gelosi dei loro privilegi. A difesa dei loro interessi agì Lucio Opimio che, seppur di origine plebea, non ebbe scrupolo a trucidare e incarcerare ben tremila sostenitori di Gracco. La mattina del giorno della sua morte, Caio Gracco aveva intenzione di recarsi al Foro per placare gli animi e i tumulti della plebe istigati ad arte da alcuni Senatori e dal Console Opimio. La moglie Licinia lo aveva supplicato di non andare, di non consegnarsi nelle mani di coloro che avevano già assassinato il fratello Tiberio. Ma Caio, dopo averla abbracciata, proseguì con l'amico Fulvio e altri compagni verso il suo tragico destino. Quando capì che a nulla sarebbero valsi i suoi ragionamenti e la sua ben nota abilità oratoria, prese la via della fuga verso l'Aventino con i suoi servitori. Secondo versioni controverse, fu ucciso o si fece uccidere e il suo corpo finì nel Tevere, ma la testa, consegnata ad Opimio, venne pagata a peso d'oro come il console aveva promesso. Così ci racconta Plutarco da pagina 135 a pagina 140 in "Le vite degli uomini illustri". La Storia ci insegna che è possibile sopprimere i propri antagonisti ma non gli ideali di cui essi sono portatori. Infatti, le idee per le quali i fratelli Gracchi  diedero la vita, furono ereditate da un 'pargolo' che aveva solo tre anni quando Caio morì nel 121 a.C.





Quel bambino, come ho già scritto sopra, si chiamava Marco Livio Druso detto 'il tribuno' per differenziarlo dal padre che era denominato 'il censore' oppure 'il console'. Marco Livio apparteneva ad una famiglia aristocratica, era colto e permeato da un alto senso civico e politico; di contro, i suoi detrattori lo accusavano di ambizione, cinismo e protagonismo. Appena eletto tribuno della plebe nel 91 a.C. si propose di pacificare gli interessi contrapposti dei senatori, dei cavalieri (equites), della plebe e degli alleati della Repubblica Romana. Riprendendo in parte il progetto dei fratelli Gracchi, chiese l'approvazione di tre leggi: una per la riforma giudiziaria, un'altra per la gestione dei latifondi improduttivi e la terza per concedere la cittadinanza agli alleati italici. Il giovane Druso aveva contratto fin dall'infanzia solidi legami di amicizia con i notabili dei Marsi e dei Vestini, impegnandosi con un patto affinchè la tanta agognata cittadinanza fosse conseguita pacificamente evitando qualsiasi conflitto armato. Ma, come era già accaduto al tempo dei Gracchi, l'opposizione all'idea di estendere la cittadinanza diventò feroce e spietata; il console  Lucio Marcio Filippo dichiarò illegale la procedura di presentazione delle leggi, fece rinviare la votazione e accusò Druso di tradimento per aver complottato con i "socii". Nel novembre del 91 a.C. un sicario lo pugnalò a morte nell'atrio della domus davanti alla statua del padre. Sembra che il tribuno, prima di esalare l'ultimo respiro, abbia pronunciato queste parole: "La Repubblica non avrà mai più un cittadino come me". Druso fu ucciso proprio quando tutto lasciava prevedere che il Senato avrebbe concesso l'equiparazione dei diritti fra romani e"socii" italici: evidentemente non c'era altro modo per fermarlo. L'accusa di 'tradimento' fu lanciata inaspettatamente in Senato a causa del patto e del giuramento che gli Italici avevano stretto con Marco Livio Druso. Il testo dell'accordo fu letto nel corso della seduta ed è veramente strano che, di solito, gli storici non diano importanza a questo tassello così decisivo per l'inizio della Guerra Sociale.

























Agli occhi dei conservatori ad oltranza della Repubblica Romana, questo patto qualificava Marco Livio Druso come un duce carismatico, quasi un'aspirante monarca e, quindi, un traditore dell'ordinamento repubblicano. L'uccisione del giovane Druso fu un colpo terribile per Quinto Poppedio Silone, comandante dei Marsi e grande amico del tribuno che aveva sostenuto fino alla morte l'equiparazione fra Romani e Italici. Poppedio Silone, unitamente agli altri alleati ribelli, si preparò in tempi rapidissimi all'attacco militare contro Roma; intanto il Senato aveva inviato nella Marsica e nel Piceno alcune spie per raccogliere informazioni sui loro movimenti. Appiano Alessandrino scrive che le città italiche si erano confederate in segreto contro Roma pronunciando un giuramento e scambiandosi ostaggi reciproci come garanzia di fedeltà al patto stabilito. Infatti le spie, avendo riconosciuto alcuni ostaggi marsicani ospitati nel Piceno, confermarono le intenzioni belliche degli ormai ex alleati. Pertanto, venne inviata ad Ascoli Piceno una delegazione militare guidata dal proconsole della Marca, Quinto Caio Servilio. Il proconsole, una volta entrato nella città, ordinò di interrompere i sacrifici per i Ludi e fece riunire gli abitanti nell'anfiteatro affinché ascoltassero il suo discorso minaccioso ed arrogante. Il clima era già teso perché nessuno aveva dimenticato la morte di Druso, la tracotanza del funzionario romano fu la classica goccia che fece traboccare il vaso: gli Ascolani assalirono d'impeto il proconsole e lo trucidarono, la stessa sorte toccò al suo legato Fonteio. Nelle ore successive, furono uccisi tutti i cittadini romani e filoromani presenti in città; nel frattempo, la rivolta dilagava anche presso le altre tribù italiche. Era il 91 aC: la guerra dei "socii", detta anche guerra marsica o italica, stava iniziando.















La Confederazione marsica chiese al Senato romano, per l'ultima volta, la concessione della "civitas" in cambio della pace. A fronte dell'ennesimo ottuso rifiuto, gli ex alleati di Roma fondarono un primo nucleo di Stato italiano dotato di un'organizzazione militare e politica simile a quella romana. Come capitale fu scelta Corfinium, rinominata Italia o Italica, a indicare per la prima volta nella Storia, la patria comune di tutti quelli che si erano ribellati a Roma. Fu eletto un Senato composto da 500 membri, 12 Pretori e 2 Consoli. I primi due consoli, e comandanti in capo, furono il marso Quinto Poppedio Silone e il sannita Caio Papio Mutilo. Ma uno Stato per definirsi tale, oltre la sovranità politica e territoriale, deve esercitare anche la sovranità monetaria ed ecco che la nuova capitale si attrezzò per il conio di nuove monete "italiche". Una di queste, nell'immagine qui sopra a sinistra, rappresenta una giovanissima Italia seduta su tre scudi e appoggiata ad una lancia vicino alla quale è evidenziata una "C", probabilmente la lettera iniziale del luogo del conio, cioè Corfinio; dietro di lei Nike, dea della Vittoria, le porge una corona di alloro. Ho fotografato questa moneta durante una visita al Museo Archeologico di Corfinio (L'Aquila) e ricordo ancora la forte emozione provata leggendo il caro nome della patria di ieri e di oggi. Secondo alcuni esperti di numismatica, questa serie, che rappresenta l'Italia vittoriosa, è stata emessa verso la fine del 90 aC, cioè dopo un anno di continue sconfitte inflitte dalla Confederazione italica agli eserciti della Repubblica Romana. La prossima immagine illustra la prima tabella del quadro di sintesi di questa guerra, denominata dapprima sociale, poi marsica ed infine italica. Il motivo del conflitto, espresso alla stregua di un ultimatum, fu: "o la concessione della cittadinanza romana oppure l'indipendenza totale dei territori italici dall'influenza di Roma". La guerra fu condotta da due consoli Romani, due consoli Italici e dai loro rispettivi legati e pretori i cui nomi sono evidenziati in grigio. Gli eserciti in campo erano equivalenti per numero di fanti, cavalieri, addestramento e strategia bellica. Gli esiti vittoriosi delle guerre di Roma contro Cartagine e Pirro erano soprattutto dovuti al valore di quei comandanti italici ora non più alleati, ma nemici irriducibili perché offesi dalla tracotanza romana.





La guerra inizia con rapide e importanti vittorie degli Italici. L'11 giugno del 90 aC, il pretore italico Vezio Scatone sconfigge l'esercito romano comandato dal console Publio Rutilio Lupo. Lo stesso console muore durante la battaglia avvenuta sulle sponde del fiume Toleno (o Liri) lasciando allo sbando i suoi legionari e migliaia di cadaveri galleggianti sulle acque. Subentra nel comando Q.S. Cepione, cioè uno dei suoi legati. Ma anche Cepione perde la vita cadendo nell'agguato teso dal console italico Poppedio Silone. Nel frattempo, in Puglia, il pretore italico Caio Vidacilio riesce ad occupare due colonie latine convincendo gli abitanti ad arruolarsi nell'esercito italico; in Lucania il sannita Marco Lamponio mette in fuga i legionari romani comandati da P.Licinio Crasso. Infine, il console romano Lucio Giulio Cesare sarà sconfitto per ben due volte dalla Confederazione italica. Mai, prima d'ora, la Repubblica Romana si era trovata così in pericolo ! Inoltre, altri popoli come gli Etruschi, i Sabini e gli Umbri, dapprima neutrali,  adesso manifestano l'intenzione di unirsi alla Confederazione italica vincente. E così, Lucio Giulio Cesare chiede con urgenza al Senato di approvare la "Lex Iulia de Civitate Latinis et sociis danda" per offrire la cittadinanza romana a quei popoli che non avevano partecipato alla guerra contro Roma. Questa volta, non c'è proprio nessuno in Senato che voglia opporsi alla concessione, non solo, c'è anche chi prepara un'altra legge per estendere la cittadinanza a tutti  gli Italici che deporranno le armi entro 60 giorni.



Dunque, la prima legge, emanata alla fine del 90 aC, ha l'obiettivo di evitare che i popoli rimasti neutrali si uniscano agli Italici ribelli; la seconda, pubblicata nei primi mesi dell'89 aC e denominata Lex Plautia Papiria, si propone di favorire le diserzioni nell'esercito italico e la cessazione del conflitto. Tutto ciò significa che Roma è già stata sconfitta in questa guerra iniziata per il rifiuto di concedere la cittadinanza. Gli Italici hanno già ottenuto quello che volevano, anche se la guerra si trascinerà ancora per un anno, fino alla morte di Poppedio Silone, l'eroico comandante dei Marsi che era stato l'anima della rivolta. Dopo questo terribile conflitto, in cui persero la vita 300mila romani ed italici, la Repubblica di Roma cessava di esistere e nasceva lo Stato romano come organizzazione politica e militare di tutta la penisola italica i cui abitanti furono, finalmente, equiparati nei diritti civili e politici. Gli storici latini hanno preferito sorvolare sulla sostanziale sconfitta di Roma in questa guerra, cioè sulla trasformazione di questa arrogante città-stato che, da proprietà privata dei patrizi, fu costretta ad accettare l'ascesa di qualsiasi italico, alle cariche più alte dello Stato.




sabato 2 marzo 2019

ALLIUM SATIVUM


NOMI - In Italia esistono alcune varietà pregiate di Aglio fra le quali ricordiamo il Bianco Polesano Dop in Veneto, l'Aglio di Vessalico in Liguria delicato e digeribile, l'antichissimo Aglio rosso di Sulmona in Abruzzo e il rosso di Nubia in Sicilia. Nomi popolari o dialettali: Aglio coltivato, rosa fetida, àghjo (toscana), ai, ajo (veneto, lombardia), àje (abruzzo), ajjo (umbro), azzu (sardegna), agliu (liguria)...





STORIA e LEGGENDE - Le prime iscrizioni che citano l'Aglio sono in caratteri cuneiformi e risalgono circa al 2400 a.C. Antiche illustrazioni rivelano che i Cinesi ne facevano ampio uso nella cucina fin dai tempi più antichi; era presente in molti preparati terapeutici dei monaci tibetani sia come antibiotico che per depurare il fegato. I geroglifici dell'antico Egitto lo illustrano come pianta sacra ma anche come cibo ricostituente destinato agli schiavi che costruivano le piramidi. Le proprietà medicinali dell'aglio sono anche descritte nel Papiro di Ebers e, quelle magiche, appaiono nei versi dell'Odissea quando Ermes porge ad Ulisse l'Aglio come potente amuleto contro la la Maga Circe. Plinio il Vecchio, nella sua Historia Naturalis, dedica diverse pagine all'utilizzo di questo prezioso bulbo. L'Aglio era presente in gran quantità nelle provviste alimentari dei legionari romani in marcia verso le loro destinazioni; serviva per prevenire infezioni ed altre malattie, acquisire resistenza e a disinfettare le ferite. Infine, anche la superstizione dell'Aglio che allontana i Vampiri ha un suo fondo di verità considerando che i batteri, i virus e gli acari  vivono da parassiti a spese dell'organismo umano.




DIFFUSIONE - Sicuramente l'origine dell'Aglio è asiatica, si è poi diffuso in Medio Oriente e nell'area del Mediterraneo. Nel Nord Europa è stato conosciuto ed apprezzato in seguito alle spedizioni militari compiute dai legionari romani.


PROPRIETA' MEDICINALI - Le sue funzioni terapeutiche sono molteplici essendo antisettico, battericida, ipotensivo, espettorante, febbrifugo, vermifugo e antiossidante. Oltre a proteine e carboidrati complessi, l'Aglio contiene una piccola percentuale di allicina , un composto di zolfo che emana l'aspro odore che ben conosciamo. Grazie alla presenza di elementi vitali come la vitamina B, il sodio, il potassio e il magnesio, riesce ad inibire l'attività dei radicali liberi, rallentando l'invecchiamento cellulare. I medici medievali che, durante le epidemie di peste, visitavano gli ammalati, si premunivano dal contagio indossando maschere di teste di uccello nel cui becco erano nascosti preparati a base di aglio. Le varietà di Aglio rosa e rosso sono quelle a più alto contenuto di  allicina.




MODALITA' d'USO - Per mantenersi in buona salute è nessario inserire l'Aglio nel nostro regime alimentare quotidiano. Come ci ricorda la saggezza popolare: "Prevenire è meglio che curare". L'uso ottimale dell'Aglio  consiste nel tritarlo crudo (o spremerlo) sui sughi, sulla carne, sulle verdure, sulle insalate. Nella cottura l'allicina tende a disperdersi, essendo una sostanza instabile. Per uso terapeutico intensivo, esistono in commercio ottimi preparati in capsule, o compresse, con alte concentrazioni di allicina. Ovviamente, l'assunzione di tali prodotti richiede il parere del vostro medico di fiducia.